venerdì 29 maggio 2009

LA LUNGA ESTATE TURCA

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Sembra ormai che l'estate sia arrivata, anche ad Amburgo. Gli uccellini cinguettano fra i rami degli alberi, la scuola sta per finire e lasciare spazio al tempo dilatato delle vacanze. Solo Daniel, timido insegnante di fisica, ha qualcos'altro a cui pensare: le sei settimane di noia mortale che lo attendono. Nessun piano per le vacanze e nessuna ragazza che renda più sopportabile la mancanza di cose da fare. Un giorno, in un mercatino, Daniel compra un anello su cui è raffigurato il simbolo azteco del sole. La ragazza che glielo vende, Juli, gli giura che vale ogni centesimo che costa perché l'anello in questione garantisce a chi lo porta una grande fortuna in amore. Tutto quello che Daniel deve fare è cercare una ragazza che indossi lo stesso simbolo. La sera stessa, a una festa, Daniel conosce una bella ragazza turca, Melek, e scatta il colpo di fulmine. Anche perché lei porta addosso proprio il simbolo del sole (nel frattempo, Juli, che si era procurata anche lei una maglietta raffigurante un sole per far colpo sul professorino, ci rimane male). Melek, però, sparisce nella notte. Daniel riesce a ricordarsi che la ragazza gli ha parlato di un incontro importante che aveva a Istanbul. Decide di partire, ma chi incontra per strada mentre fa l'autostop? Nientemeno che July stessa. La carica a bordo e inizia così un viaggio che li porterà fino a Istanbul attraverso l'Europa sud-orientale. Durante il percorso succederà di tutto: Daniel perde macchina, documenti e bagagli. Anche July lo lascia e lui si ritrova al confine turco senza passaporto e con un'altra ragazza turca che trasporta nel baule dell'auto il cadavere del nonno morto in Germania. E quella storia dell'anello che fa trovare l'amore era tutta una bufala?
Questa, in breve, la trama di IM JULI, il road movie di Fatih Akin che Alpe Adria Cinema propone ai suoi soci il 3 giugno al Cavò_rifugio videoespositivo. Tedesco di seconda generazione, nato ad Amburgo nel 1973 e di origini turche, Fatih Akin esprime nelle sue pellicole un mondo sinuoso e delicato, poetico e al tempo stesso ironico e crudo. Racconta conflitti culturali, identità violate, vite on the road, aspri drammi quotidiani. Il suo non è solo cinema d'emigrazione, sebbene nelle sue opere il distacco tra la patria d'accoglienza e quella d'origine sia sempre un tema forte e sentito. Nelle strade brulicanti della Germania, nei vicoli bui, nei silenzi e nei rumori sconfinati, sembrano rivivere le bellezze e le contraddizioni della Turchia. Anche in questo Im Juli, del 2000, dietro l'intreccio della storia d'amore si ritrova la riflessione sulle radici, che per Akin sono sempre da riscoprire. Ormai più che affermatosi a livello internazionale, Akin ha studiato comunicazione visiva all'Accademia di Belle Arti di Amburgo. Il primo corto Sensin - Du bist es! (1995) vince il premio del pubblico al Hamburg International Short Film Festival. L'esordio nel lungometraggio arriva nel 1997 con Kurz und schmerzlos (Short Sharp Shock), un puzzle denso e colorato sulle vite di tre immigrati (un turco, un serbo e un greco) ad Amburgo. Il film ottiene il Pardo di Bronzo al Festival di Locarno e il premio come miglior esordiente ai Bavarian Awards di Monaco. Dopo Im Juli (2000) gira Wir haben vergessen zurückzukehren (I Think About Germany: "We Forgot to Go Back" , 2001), un progetto molto intimo, documentario sul ritorno dei genitori del regista dalla Germania alla Turchia, che diventa pretesto per esplorare sentimenti comuni a tutte le persone lontane dalla propria casa, non necessariamente quella d'origine. Solino (2002) è un'altra storia di immigrazione, questa volta di una famiglia pugliese trasferitasi a Duisburg negli anni '60. Nel 2003 il regista fonda con l'amico Klaus Maek una piccola casa di produzione, la Corazón International. La società realizza i suoi film, supporta e co-produce il debutto alla regia del turco Oezer Kiziltan, Takva - A Man's Fear of God (2006), diventa partner del documentario italiano Uomini d'onore (Francesco Sbano, 2006) e di Mamorosh del serbo Moma Mrdakovic. È il preludio al successo internazionale che Akin ottiene nel 2003: La sposa turca (Gegen die wand, Head-On) vince l'Orso d'Oro al Festival di Berlino. Il film è un dramma interetnico che si muove tra la difficoltà di rimanere fedele alle tradizioni e la voglia di abbracciare il nuovo. Un film spigoloso e al tempo stesso delicato, che trova un punto d'equilibrio tra le pulsioni mélo di Fassbinder (cui Akin viene paragonato fin dai primi lavori), la stralunata comicità di Kaurismaki e Kusturica, la coralità polifonica dei perdenti di Jim Jarmusch, un riferimento mai nascosto dall'autore. Il tutto è sottolineato dagli intervalli musicali di una immobile banda che suona sulle rive del Bosforo. Ed è proprio la musica al centro del successivo Crossing the Bridge - The Sound of Istanbul (2004). Presentato con successo a Cannes e in moltissimi altri festival in giro per il mondo, il film segue il compositore Alexander Hacke, esponente dell’avanguardia musicale tedesca negli Einstürzende Neubauten, che ripercorre il viaggio che fece in Turchia per scrivere la colonna sonora della Sposa turca. Le emozioni, i rumori, i colori di una metropoli che segna non il confine ma l’incontro fra Oriente e Occidente, e soprattutto le sue melodie, fra psichedelica, black music turca, hip hop, street music e breakbeat, fino alla musica popolare turca, alla tradizione kurda, alla danza dei dervisci. Il ritorno alla fiction è del 2007 con Ai confini del Paradiso (Auf der anderei Seite, The Edge of Heaven), miglior sceneggiatura al Festival di Cannes. Sei personaggi che si incrociano, tra Amburgo, Brema, Istanbul, Trabzon, sradicamento, confusione esistenziale, solitudine. Attualmente, Akin sta lavorando a una commedia, Soul Kitchen, e a un documentario, Garbage in the Garden of Eden, un lavoro sulle peripezie di un paesino sulle sponde del mar Nero che rischia di diventare un'enorme discarica a cielo aperto.

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TALES FROM THE GOLDEN EAST

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Si è concluso domenica scorsa il Festival di Cannes. Quest'anno il premio "Un certain regard" va alla Grecia con Kynodonthas - Canini, di Yorgos Lanthimos. Al romeno Corneliu Porumboiu il premio della giuria. Molto forte il debutto del serbo Vladimir Perišić con Ordinary People. La Romania convince, la Serbia sorprende, ma è la Grecia per una volta a vincere. Kynodonthas - Canini di Yorgos Lanthimos ha ricevuto il premio della sezione "Un certain regard", mentre il romeno Politist Adjectiv di Corneliu Porumboiu (“A est di Bucarest”) si è dovuto accontentare del premio della giuria. Quest’ultimo film, una storia su cosa sia la giustizia e sulla responsabilità individuale, avrebbe meritato il concorso. Ha però avuto il premio Fipresci per la stessa sezione, molto interessante, parallela alla competizione principale (dove non c’erano pellicole dell’area balcanica). [] Corneliu Porumboiu ha confermato il proprio valore con una pellicola forte, universale, che conferma lo stile del film precedente (piani sequenza lunghi, dialoghi sottilmente ironici) ma con temi diversi. Ora è la confusione morale, della Romania ma anche del mondo intero, l’oggetto d’osservazione del regista. Cristi (Dragos Bucur) è un giovane poliziotto che ha l’ordine di arrestare un ragazzino di famiglia borghese che ha “offerto” hashish a due compagni di scuola. Il suo capo (Vlad Ivanov) vuole che lo becchi in flagranza di reato. Cristi osserva i ragazzi, indaga, cerca prove per risalire ai trafficanti e non vuole intervenire colpendo chi consuma droga. “Le leggi stanno cambiando come è già successo nel resto d’Europa, e io non voglio avere sulla coscienza la colpa di aver rovinato la vita a dei ragazzi”, ragiona. L’ufficiale vuole che sia rispettata la legge in vigore (“Uno stato di polizia? Ah ah, tutti gli stati sono stati di polizia” lo deride) e in un lungo faccia a faccia sembra convincerlo con il suo cinismo spietato. Il fatto è che tra i due manca un linguaggio comune, danno alle parole significati diversi: il discorso del poliziotto è più vicino al pensiero dello spettatore comprensivo e dalla mentalità aperta, quello del maggiore in grado più rispondente alle definizioni del vocabolario. Il risultato è spiazzante. E il linguaggio cinematografico scelto da Porumboiu è il valore aggiunto del film. [] Cristian Mungiu, l’altro regista romeno incluso nel "Certain regard", ha confermato grande intelligenza, oltre alle capacità registiche e di scrittura. Dopo l’exploit di “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni” ha evitato di sottoporsi a un esame vero, portando a Cannes un film a episodi diretti con altri quattro registi (solo Costantin Popescu era noto all’estero per il corto “Smiling Yellow Face”). Tales from the Golden Age è un insieme di barzellette ambientate negli ultimi anni dell’era Ceausescu con famiglie che cercano di arrangiarsi come possono. [] Molto forte il debutto del serbo Vladimir Perišić con Ordinary People, inserito nella "Semaine de la critique". Siamo in un luogo non specificato dell’ex Jugoslavia all’inizio della guerra. È mattina presto, un bus trasporta un gruppo di sette soldati di un reparto speciale verso una destinazione sconosciuta. Tra loro la ventenne recluta Dzoni, che dopo il servizio militare è rimasto nell’esercito per non restare disoccupato. Fa caldo, i soldati aspettano tra edifici abbandonati e prati assolati senza riuscire a capire quale sia la missione. Dopo una lunga attesa, arriva un altro bus, carico di giovani da uccidere a sangue freddo, come un plotone d’esecuzione. A fatica tutti fanno il loro “dovere”, anche l’impaurito Dzoni. Quando arriva il secondo turno la scena si ripete. Più avanti il giovane dovrà superare la prova “di maturità” uccidendo un ragazzino che prova a ribellarsi. Sono persone comuni che hanno perso all’improvviso l’innocenza e sono diventate strumenti del male. La sera il bus carica di nuovo i soldati, ma un’interruzione della strada li blocca in un villaggio. Dzoni e poi gli altri rifiutano di aiutare un altro reparto nell’eliminare i nemici adducendo la stanchezza. La speranza di una catarsi, che i giovani recuperino la loro umanità dopo essersi piegati alla follia assassina. Perišić lo rende con pochi dialoghi, scene scarse, spiegazioni essenziali e una violenza mostrata e raccapricciante ma senza alcun compiacimento. (fonte: l'articolo, di Nicola Falcinella, è tratto da http://www.osservatoriobalcani.org)

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giovedì 21 maggio 2009

TRACCE DI MURO: SULLE ALI DELLA TRABI

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È di qualche giorno fa la notizia che la Trabant, uno dei simboli della DDR, tornerà in produzione. Un modello della nuova auto, che fu progettata e messa in produzione negli anni ‘50 dalla casa automobilistica Sachsenring Ag nell’allora Repubblica Democratica Tedesca, sarà presentata in grandezza naturale alla fiera internazionale dell’auto di Francoforte, la Iaa, secondo quanto ha rivelato un portavoce dell’azienda «Herpa», Daniel Stiegler. Sembra incredibile, eppure in questo periodo di crisi pare che l’immaginario conti più del bisogno reale e che l’Ostalgie, la nostalgia per lo stile di vita della DDR, stia dando frutti insperati sul lungo periodo. A Berlino è ora possibile trovare negozi specializzati che vendono solo prodotti della Germania Est (quelli che nel film Good Bye Lenin! nessuno vuole più e che il protagonista si affanna a recuperare per far credere alla madre uscita dal coma che il Muro non sia ancora caduto). Questo nuovo “mercato della memoria” si preannuncia molto redditizio: la nuova Trabi sarà infatti tutt’altro che economica, si parla di un prezzo che oscillerà fra i 20 e i 30 mila euro (la tecnologia è Bmw e molto dipenderà dagli optional) e sarà lunga quattro metri, uno in più del modello originale, la 601, entrata originariamente in produzione nel 1964 (molte notizie storiche sull’autovettura si trovano su questo bel sito dedicato).
A puntino arriva quindi il film che Tracce di Muro propone lunedì 25, sempre al Cinema Ariston di Trieste: GO TRABI GO! di Peter Timm, Germania 1991. Trattasi di commedia leggera e divertente che però racconta una fase di passaggio importante e che rientra a pieno titolo nel movimento di rinascita del cinema popolare che ha caratterizzato i primi anni del cinema tedesco dopo la caduta del Muro. Parliamo della stesso filone della “nuova commedia tedesca”, il cui sotto-filone delle “commedie della riunificazione” ha prodotto, in anni più recenti, film come Good Bye Lenin! Ma torniamo al film di Timm. Siamo nell'ex Germania est, poco dopo la caduta del Muro. Il massimo per gli "Ossis" (termine colloquiale per indicare i tedeschi dell'Est) è, oltre alla nuova macchina occidentale, un viaggio verso il Sud pieno di sole. Lo stesso vale anche per la famiglia Struutz. Ed è così che Udo, Rita, Jacqueline e "Schorsch" (ovvero la Trabi di famiglia) partono in direzione di Napoli. Già a metà strada la famiglia in viaggio per l'Italia deve però constatare che una Trabant in realtà non è fatta per coprire lunghe distanze. E anche per il resto, nel paese meta della vacanza, molte cose sono diverse rispetto a casa propria. Udo, il capo-famiglia, fra una lettura e l'altra del Viaggio in Italia di Goethe (!) avrà il suo bel daffare a proteggere macchina, moglie e famiglia dai "pericoli" del Bel Paese. Interessante, in questo senso, anche vedere come veniamo rappresentati noi italiani e il nostro paese in un film pensato appositamente per il pubblico tedesco da poco riunificato.
Peter Timm, il regista, è nato nella Germania Est nel 1950. Nel ’76, si è trasferito a Francoforte, dove ha cominciato a fare lo scrittore, l’attore e il regista. La vera svolta di carriera è però arrivata dopo la partecipazione agli spettacoli di cabaret del "Karl Napps Chaos Theater". Oltre a Go Trabi Go, ha realizzato diversi film, fra cui Fifty Fifty (1988), Manta - der Film (del 1991, una specie di contraltare del film sulla trabi, perché parla dell’auto simbolo della Germania occidentale), Einfach nur Liebe (1993), Dumm gelaufen (1996), Der Zimmerspringbrunnen (2001), Mein Bruder ist ein Hund (2004).

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mercoledì 20 maggio 2009

TRACCE DI MURO: IL SOGNO DELL'INDIVIDUALITÀ

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La rassegna Tracce di Muro continua lunedì 25 proponendo un altro spaccato di vita durante la DDR: SOLO SUNNY (Sunny la solista) di Konrad Wolf e sceneggiato da Wolfgang Koolhase, Germania Est 1980. Sunny è una giovane cantante di Berlino che gira con la sua band piccole città e paesini della DDR. La vita dell’anticonformista Sunny scorre normale finché succede qualcosa d’improvviso che la complica. La giovane e bella cantante s’innamora del filosofo Ralph, ma viene da questo tradita e, come se non bastasse, dopo un litigio con alcuni colleghi di lavoro viene cacciata dalla band. Sunny cade così nella depressione e tenta il suicidio. Ritrova però lentamente la voglia di vivere e di cantare quando legge l'inserzione su un giornale di una band rock.
Il regista Konrad Wolf realizza in realtà attraverso Sunny il ritratto di un’artista che non vuole arrendersi ad accettare una realtà rimpicciolita e resa meschina da una ideologia sempre più obsoleta. Come per altre protagoniste dei film di Wolf, Sunny è un'anticonformista che sogna una vita indipendente, lontana dai parametri di ordine della piccola borghesia. Sunny, però, non viene raffigurata come un'outsider, ma come rappresentante di una generazione che - ricordiamoci che siamo nell'80 - sarà vera protagonista, 9 anni più tardi, del crollo del Muro. All'epoca dell'uscita del film, molto apprezzato nelle sale della DDR, ma anche nei festival nazionali e internazionali (il film vince l'Orso d'argento al Festival di Berlino, dove cinque anni più tardi Kohlhaase sarà invitato come presidente di giuria, ma vince anche un premio a Chicago), il settimanale Spiegel pubblicò un'intervista a Wolf dal titolo "Qualcosa si muove nella DDR" ecco come rispose il regista alla domanda se Sunny fosse da onsiderare un'outsider rispetto aalla società tedesco-orientale: "No, lei vive nel pieno della società della DDR. Questi termini, come centro e margine, li dovremmo lasciare ai geografi o nel caso migliore aisociologi che forse sono legittimati a parlare di insider e outsider (...). Io li rifiuto. Per me, nella vita non ci sono zone periferiche, mediane, centrali. Per me non ci sono persone importanti, persone meno importanti o addirittura persone non importanti." (La citazione è tratta da un libro pubblicato da pochissimo, Al di là del Muro. Cinema e società nella Germania Est 1945-1990. L'autrice è Christina Schmidt, l'editore Clueb di Bologna. Anche se avrebbe avuto bisogno di una lettura di bozze in più, il testo traccia una storia della cinematografia della DDR e, in partivolare, degli studi di stato della DEFA e contiene moltissimi aneddoti e aprtiolari interessanti su film, produzioni e autori).
Konrad Wolf, uno dei massimi esponenti della cinematografia della DDR, era nato nel 1925 a Hechingen. Emigrato nel '33 con al famiglia in Francia e poi a Mosca (dove ottenne la cittadinanza sovieica), entra a 17 anni nell'Armata Rossa. Due anni dopo, entra con le truppe russe a Berlino. Dopo aver ricoperto per qualche anno incarichi diversi nella parte di Germania occupata dalle truppe sovietiche, nel 1949 torna a Mosca e si iscrive allo VGIK, Istituto Superiore di Cinema. Terminati gli studi fa ritorno a Berlino e comincia alavorare con la DEFA. Gira diversi film, fra cui, nel '64, Il cielo diviso, tratto dal racconto omonimo di Christa Wolf. Negli ultimi anni della sua carriera, è molto interessato a indagare il rapporto fra politica e arte e al controllo che la prima vuole sempre imporre sulla seconda. Solo Sunny è stato l'ultimo film che ha girato. Qualche anno dopo la sua morte, avvenuta nel 1982, gli è stata intitolata la Scuola Superiore di Cinema e Televisione di Potsdam-Babelsberg.




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IL TERZO ANELLO "SALTA" IL MURO

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Non c’è che dire, questo 2009 è proprio l’anno del Muro. Per ricordare i vent'anni dalla caduta anche Radio3 ha mandato in onda, dal 6 aprile al 1° maggio, un programma dedicato, molto interessante e ricco di spunti: "Saltare il muro. Testimoni a Berlino". Venti puntate, venti appuntamenti con la storia, la memoria personale, le emozioni di quei giorni, con le speranze, le paure, i sogni nati attorno alle rovine del Muro. A raccontarli gli stessi ascoltatori di Radio3 diretti testimoni dell'evento, gli scrittori e saggisti Eraldo Affinati, Franco Cordelli, Francesco Cataluccio, Anna Chiarloni, i giornalisti Lilli Gruber, Giuseppe Solinas, Paolo Borella, Ritanna Armeni, i fotografi Mario Dondero, Attilio Pavin, l'ambasciatore tedesco a Roma Michail Steiner allora funzionario d'ambasciata a Praga.
È possibile riascoltarle tutte collegandosi al sito di RADIO3 – Il terzo anello: http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/saltareilmuro/index.cfm
Fra gli ospiti lo scrittore Eraldo Affinati, che ha pubblicato di recente per Rizzoli un libro dedicato proprio a Berlino: BERLIN. Lasciamo alle sue stesse parole il compito di presentarlo: “La Berlino di questo libro non conosce confini, né geografici, né storici. Parlano le statue, il Muro, i grattacieli, le stazioni, le vie, le piazze, i morti, i vivi. Parlano Jesse Owens, Vladimir Nabokov, Rosa Luxemburg, Franz Kafka, Marlene Dietrich, le aquile del Terzo Reich e la Madonna del Botticelli. Apre la Dea della Vittoria che stringe la lancia aspirando i profumi del Tiergarten; chiude Albert Einstein, il cui genio sembra scintillare nello sguardo rapido di un ragazzino in bicicletta. Eraldo Affinati scende nei bunker sotterranei, nuota nelle piscine pubbliche, corre in BMW, sorride ai fantasmi, si perde in periferia, ritrova il sentimento italiano nei quadri della Gemäldegalerie e nelle canzoni di Mia Martini. Si rivolge a Marx ed Engels. Ammira gli studenti della Biblioteca Nazionale. Riflette nella Stanza del silenzio. Ci racconta degli Hohenzollern e delle giovani reclute morte sulle alture di Seelow per difendere Hitler. Fa amicizia coi venditori di Kebab. Segue gli ultimi sopravvissuti dei lager. Ascolta i piloti della Luftwaffe, le prostitute dell'Artemis, i calciatori corrotti della Dynamo, le gracchie che volano sugli stabilimenti dismessi della Sprea, perfino le birre tracannate sui banconi delle Kneipen. Alla fine ci consegna il ritratto impossibile di un camaleonte: una città che sembra più vera di quella autentica, ma è fantastica come una leggenda.” (fonte: sito personale dello scrittore, http://www.eraldoaffinati.it)






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martedì 19 maggio 2009

TULPAN: DALLE STEPPE ALLE SALE ITALIANE!

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Esce in questi giorni nelle sale italiane con il titolo TULPAN – LA RAGAZZA CHE NON C’ERA, il film di SERGEJ DVORCEVOJ (o Dvortsevoy, secondo la traslitterazione che Bim, il distributore italiano, ha scelto di adottare). Produzione tedesco-svizzero-kazaka-russa-polacca, questo bellissimo film dell’anno scorso è stato presentato in gennaio al Trieste Film Festival, nel concorso internazionale lungometraggi. Tulpan racconta la storia del giovane Asa, il quale, terminato il servizio militare in marina, torna a casa nella steppa kazaka. È lì infatti che vivono, conducendo una vita nomade, il fratello pastore e la sorella. Per cominciare un’esistenza del tutto nuova, e diventare lui stesso un pastore, Asa deve prima prendere moglie. Nella steppa deserta, la sua unica speranza è rappresentata da Tulpan, anche lei appartenente a una famiglia di pastori. Il povero Asa, però, scopre con disappunto di non piacere alla ragazza a causa delle sue orecchie, che lei ritiene troppo grandi. Ciononostante, non si dà per vinto e continua a sognare una vita forse impossibile nella steppa. In fin dei conti, anche il principe Carlo d’Inghilterra ha le orecchie a sventola e non se la passa poi così male.



Il regista, 47enne kazako, è entrato nel mondo del cinema in modo un po’ insolito. Infatti, si è prima formato all’Accademia dell’aviazione ucraina, diventando radiofonista e poi pilota. Successivamente, c’è stato il trasferimento a Mosca e l’iscrizione a una delle scuole di cinema più famose del mondo, lo VGIK, dove si è diplomato nel 1992. Ha cominciato da allora a girare cortometraggi e documentari, premiati nei migliori festival internazionali di cinema. Nel 2005, il pubblico del TFF ha avuto modo di conoscerlo e incontrarlo e di vedere il suo V temnote, in concorso cortometraggi. Tulpan rappresenta, invece, il suo atteso esordio al lungometraggio. Il film, che ha vinto molti premi, fra cui il primo premio a Cannes nella sezione “Un Certain Regard”, quello per il miglior film nella sezione “East of the West ” a Karlovy Vary e quello per la miglior regia a Cottbus (solo per citare i più prestigiosi), testimonia, come tutti i suoi precedenti lavori un interesse costante per la semplicità e il calore del mondo, rappresentati con un linguaggio sospeso fra il naturalismo e la poesia.
Consigliato a chi ha amato La storia del cammello che piange di Byambasuren Davaa.
Per chi vive a Trieste e vuole vedere (o ri-vedere) il film, Tulpan verrà proiettato il 20 e il 21 maggio al Cinema Ariston di via Romolo Gessi, alle ore 17.00 - 18.45 - 21.00. Buona visione!

Link:
Intervista a Sergej Dvorcevoj (in inglese)
http://filmmakermagazine.com/directorinterviews/2009/03/sergey-dvortsevoy-tulpan.php
Sito ufficiale del film http://www.zeitgeistfilms.com/tulpan/
Sito italiano del film http://www.bimfilm.com/schede/tulpan/

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venerdì 15 maggio 2009

TRACCE DI MURO: UNA GIORNATA DEDICATA A BERLINO

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Ed eccoci a un altro appuntamento con Tracce di Muro. Lunedì 18, più che di Muro, si parlerà di Berlino, questa metropoli che per molti riassume in sé un po’ tutta la Storia con la S maiuscola del ‘900. Si parte alle 18.30 con un capolavoro/pietra miliare del cinema muto, anzi del cinema tout court: Berlin, die Symphonie einer Grosstadt (Berlino - Sinfonia di una grande città) di Walter Ruttmann, Germania 1927. Nello stesso anno di Metropolis di Fritz Lang, ecco un’altra ‘ricostruzione cinematografica’ della Berlino degli anni ’20, città industriale in piena espansione, capitale dell’avanguardia modernista, del progresso e della tecnologia, reportage visivo di un'intera giornata, dall’alba al tramonto. Sinfonia visiva (con le musiche di Edmund Meisel e montaggio dello stesso Ruttmann) e ritratto sperimentale, fra realismo sovietico e avanguardie astratte europee, il documentario influenzò giovani registi dell’epoca, come Joris Ivens e si colloca accanto ad altri capolavori come L’uomo con la macchina da presa (1929) di Dziga Vertov o A propos de Nice (1929) di Jean Vigo e, per arrivare ai giorni nostri, anche alla trilogia Qatsi (Koyaanisqatsi, 1982; Powaqqatsi, 1988; Naqoyqatsi, 2002) di Godfrey Reggio con le musiche di Philip Glass.
Memore delle sue esperienze nell’animazione astratta, Ruttmann apre il film con riprese di forme geometriche, accostate per analogia a immagini documentaristiche. Altre sequenze esplorano le forme astratte di industrie, macchine, palazzi; in altre si affaccia un interesse per il sociale. Ma le immagini perdono progressivamente la loro natura di documento filmico per assumere quelle di elementi di composizione cinetica, volutamente “poetica”. Nessun attore, nessuna teatralità, nessuna star ma solo ed esclusivamente Berlino: macchine che sfrecciano sulle strade, rotaie, ciminiere che testimoniano con i loro fumi che la vita scorre anche all'interno delle fabbriche, sporco e aria torbida, segni di una modernità che diviene anche riflessione esistenziale ed estetica della vita di una metropoli.
L’autore, Walter Ruttmann, era nato nel 1887 a Francoforte (morirà a Berlino nel 1941). Inizialmente pittore, negli anni delle ricerche surrealiste e dadaiste, si era dedicato alla realizzazione di film che riflettevano i principi di queste correnti artistiche, con particolare attenzione all'astrattismo: Opus 1, Opus 2, Opus 3, Opus 4, girati fra il 1924 e il 1925, testimoniano della sua personalità singolare. Fritz Lang gli affidò la realizzazione della sequenza del sogno di Sigfrido nei Nibelunghi. Nel 1927 girò Berlino, sinfonia di una grande città e l’anno dopo venne invitato in Italia da Mussolini in persona, il quale gli commissionò il controverso semi-documentario Acciaio, tratto da Pirandello e ambientato nelle acciaierie di Terni. Finì per specializzarsi nel film di documentazione, e collaborare al montaggio di Olimpia di Leni Riefenstahl nel 1938.
75 anni dopo l’esperimento visivo e sonoro di Ruttmann, Berlino si trova nel bel mezzo di una trasformazione che non precedenti. 10 anni dopo la caduta del Muro, il motore della Storia, di nuovo in cammino, riplasma una nuova città. Persone provenienti da ogni parte del pianeta e dalle esistenze completamente diverse arrivano qui per dare vita a una nuova metropoli, che ricorda per molti versi quella degli anni ’20. Thomas Schadt decide quindi di realizzare un update del film di Ruttmann, che pur conservando alcune caratteristiche e principi narrativi dell’originale – come l’inserimento di ogni singola inquadratura del film in una struttura sinfonica, il racconto di un giorno nella vita della città seguendo alcuni temi principali, il girato in bianco e nero e in 35mm – cerca di creare un proprio linguaggio visivo e una nuova struttura narrativa.
Thomas Schadt è nato nel 1957 a Norimberga. Durante gli anni in cui ha studiato fotografia, ha lavorato come protezionista, assistente alla fotografia e fotografo di scena. Si è poi iscritto all’Accademia tedesca di Cinema e Televisione di Berlino (dffb), dove ha studiato dal 1980 al 1983. terminati gli studi, ha fondato la propria società di produzione cinematografica, la Odyssee-Film, e ha cominciato a lavorare come documentarista free-lance, fotografo e cineoperatore. Dal 1991, insegna in diverse accademie, fra cui la stessa dffb e l’Accademia di Cinema Baden-Wuerttemberg di Ludwigsburg. Ha all’attivo molti film, fra cui Was hab i in Hawaii verloren (film di diploma del 1982), Der Autobahnkrieg (1991), Der Kandidat – Gerhard Schroeder im Wahlkampf ‘98 (1998, che ha vinto il Premio della televisione tedesca come Miglior documentario l’anno successivo), My Way – James Last (2001), Berlin Symphony (Berlin - Sinfonie einer Grossstadt, 2002).

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venerdì 8 maggio 2009

THE SUNNIER SIDE OF EAST GERMANY

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All'inizio, quando io e la collega Tiziana Ciancetta abbiamo cominciato a ragionare sulla possibilità di dedicare una rassegna cinematografica all'anniversario della caduta del Muro di Berlino, pensavamo sinceramente che non ce l'avremmo mai fatta. A lungo, ci siamo chieste se a qualcuno sarebbe interessato vedere o rivedere film che raccontano quello che c'è stato prima, durante e dopo quel 9 novembre del 1989, cosa significava vivere col Muro e come è cambiato il mondo da allora. Forse, ci siamo dette, è passato troppo tempo, le urgenze sono altre, la crisi avanza (e nemmeno noi ce la passiamo troppo bene!), magari la gente ha altro a cui pensare. Poi, c'è stata la prima giornata. Abbiamo scelto di aprire con un documentario pressoché muto, girato negli stessi giorni della caduta, un film lungo, intenso, documento straordinario della fine di un'epoca, una diretta dalla Storia. A seguire Il cielo sopra Berlino, capolavoro che tantissimi dicono di aver visto, ma chissà poi quanto questo sia vero. Personalmente, non vedevo il film da qualche anno e le ultime volte era sempre stato in DVD, avevo dimenticato la bellezza e la purezza delle immagini, la profondità del racconto, il genio di Wenders. In sala c'erano molte persone, moltissimi i giovani, diversi - alla fine della proiezione - ci hanno ringraziato per la selezione, è stato veramente bello. Uno di quei momenti troppo rari in cui ti dici "sto facendo esattamente quello che voglio fare". La seconda giornata è andata ancora meglio, i film erano molto diversi (l'unico film gay girato nella DDR ed Hedwig, pop intelligente all'ennesima potenza), così come i volti del pubblico, grande la nostra felicità! Adesso ci fermiamo un po', lasciamo spazio agli amici del Nodo e al loro festival del documentario (cui abbiamo già dedicato un post). Ritorneremo il 18 con un altro capolavoro assoluto, Berlino - Sinfonia di una grande città di Walter Ruttmann, Germania 1927, e il rifacimento di Thomas Schadt del 2002 . Siamo molto curiose di vedere se anche allora le persone arriveranno, forse saranno ancora diverse, di altre età, altri interessi, altri gusti. Non c'è che dire, questo viaggio nel tempo si sta rivelando molto interessante e divertente. Ci abbiamo preso così gusto che ci dispiaceva lasciar passare così tanto tempo fra il 4 e il 18 maggio e così abbiamo deciso di fare tappa intermedia a Cavò, che non è solo il nome di questo blog, ma anche del rifugio video-espositivo di Alpe Adria Cinema, il nuovo spazio esclusivo riservato ai soci di AAC. Una tappa all'insegna della leggerezza e della musica con SONNENALLEE, un film del 1999 di Leander Haussmann, che racconta la vita quotidiana di un gruppo di ragazzi di Berlino Est, che fra scherzi, primi amori, non riescono a decidersi tra le tentazioni dell’Ovest - la musica rock - e l’impegno nella gioventù del Partito Comunista. E il Muro non riesce a fermare la loro voglia di divertirsi, di ascoltare musica e di ballare...
ORE 21.00, VIA SAN ROCCO 1. Possono assistere solo i soci, che sanno già come funziona. A tutti gli altri diamo appuntamento lunedì 18 maggio al Cinema Ariston!


Sonnenallee - The Letter - MyVideo

"Sonnenallee (letteralmente Strada del sole) è il nome di una strada di Berlino divisa un tempo dal Muro. Uno dei suoi estremi finiva appunto nella Germania est, dov’è ambientato l’omonimo film di Leander Haußmann. Benché sia uscito già da qualche mese, il film alimenta ancora molte polemiche nell'ex Germania orientale, dove il ricordo delle persone che sono rimaste uccise nel tentativo di attraversare il confine fra le due Germanie e gli atteggiamenti intimidatori della polizia segreta è ancora vivo e doloroso. La storia fornisce, comunque, spunti preziosi su quella che era la vita quotidiana in una piccola zona di confine della vecchia Berlino. (…) Benché la commedia sia centrata soprattutto sulla divisione fra est e ovest e sulla situazione politica tedesca degli anni ’70, il film è di quelli senza tempo e potrebbe essere ambientato ovunque. Le insicurezze e i sogni tipici della gioventù e le situazioni comiche che ne derivano sono universali. Non si può che provare simpatia per i personaggi e lasciarsi travolgere da un generale senso di allegria. Benché questo sia il debutto di Leander Haußmann dietro la macchina da presa dopo anni di lavoro in teatro, il prodotto è ben riuscito e vivace e si sente che il regista è riuscito a gestire fino in fondo il passaggio dal palcoscenico al cinema.
Secondo uno dei due co-produttori, Katrin Schlösser della "ö"-Filmproduktion, uno degli intenti del film era quello di mostrare che anche gli adolescenti cresciuti all’est si sono divertiti. La maggior parte della troupe, compreso il regista e il produttore, sono cresciuti là. La trama non è sempre così leggera e non vuole sostenere l’idea che quelli fossero bei tempi, semplicemente è una richiesta di riconoscimento dell’est verso l’ovest che anche l’esistenza dei giovani tedeschi della DDR aveva i suoi lati buoni. Dal punto di vista di qualcuno che non vive in Germania, quello che conta è la gioia che irradia da questo film, la sensazione di speranza e di fiducia che il bene prevarrà che infonde nello spettatore. In questo senso, la sequenza di ballo finale è così assurda che quasi ti viene voglia di alzarti e ballare fra le sedie. Magari Sonnenallee non avrà la trama più originale del mondo, ma gli standard produttivi sono alti e gli attori bravi, per cui se volete sentirvi bene e volete farvi un’idea – per quanto limitata – di cosa può aver significato crescere a Berlino Est questo film è ciò che fa per voi."
Traduzione dall’originale di Elke de Wit ("The Sunnier Side of East Germany", Central Europe Review, vol. 2, n. 9, 06/03/2000)

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giovedì 7 maggio 2009

Tekfestival 09 ovvero il cinema che non c'è

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Parte a Roma oggi 7 maggio, dove continuerà fino all'11, l'ottava edizione del “Tekfestival. Ai confini del mondo....dentro l'Occidente”. Si tratta di un festival, per dirla con le parole degli organizzatori, "che porta avanti un lavoro di ricerca e confronto di visioni provenienti da alcuni dei principali Festival internazionali di Cinema oltre alle proposte di autrici, autori e produzioni indipendenti che sostengono il Festival presentando spontaneamente i propri lavori. La selezione riflette le anime del festival, in cui le diverse idee di cinema si nutrono della capacità di raccontare qualcosa del reale e/o del necessario: le conflittualità e le guerre permanenti, le precarietà della vita, le migrazioni, le società post-coloniali, le memorie, il tabù dell'emozione, le risorse creative messe in campo per ovviare a traiettorie di accesso negato".
Siamo d'accordo con Roberto Silvestri, che su Alias di domenica 3 maggio parla di un'occasione per orientarsi nel "cinema che non c'è" ovvero quello che c'è, ma che non si vede da nessuna parte. Scorrendo il programma, notiamo con piacere che il Tekfestival ha in comune con il Trieste Film Festival questa passione per il cinema "nascosto". A Roma, infatti, verranno riproposti alcuni dei titoli già presentati a Trieste in gennaio, dove il "cinema invisibile" fa la sua apparizione ormai da 20 anni davanti a un fortunato pubblico cittadino e regionale. Nell'ambito della sezione "Pericolosamente ad est" ritroviamo infatti il film di chiusura del festival, The World is Big and Salvation Lurks Around the Corner, di Stephen Komandarev, una co-produzione internazionale con il famoso attore Miki Manojlovic, che ha divertito il pubblico triestino con la sua carica vitale e l'ambientazione (anche se solo in parte) triestina, ma anche Lopott ritmus (Hipi-Hopi) di Martin Szecsanov, un mockumentary sull'improbabile ascendenza ungherese nientemeno che dell'hip hop, presentato nella nuova sezione dedicata ai documentari musicali dal centro-est Europa "Muri del suono". Per la "rassegna di cinema delle donne" ritroviamo invece il film di Helke Sander, Die Allseitig reduzierte personlichkeit - Redupers (La personalità generalmente ridotta), una pellicola del 1977 che racconta la vita quotidiana di una fotografa freelance che deve gestire lavoro, casa e una bimba piccola e che si chiede quale sia il ruolo della donna nella gestione degli affari pubblici. In un'altra sezione, "1989-2009: la memoria del presente è la visione" troviamo due cortometraggi di un altro regista tedesco, Gerd Conradt, Ein-Blick e Fernsehgrusse von west nach ost, che sono stati presentati, insieme al film della Sander e alla presenza dei due autori (qualcuno ricorda Conradt ballare scatenato sul dance floor del Teatro Miela in una delle serate?) nell'ambito dell'omaggio "Tracce di Muro: per una memoria visiva e sonora del Muro di Berlino a 20 anni dalla sua caduta", prima tappa del percorso che ora sta continuando con la rassegna "Tracce di Muro. Berlino 1961-1989". (a lato Gerd Conradt, Elfi Reiter -al centro- e Helke Sander durante la serata Tracce di Muro). E poi ancora Rata nece biti, il documentario-fiume di Daniele Gaglianone sulla Bosnia, che ha vinto recentemente il David di Donatello, anch'esso documentario fuori concorso al TFF, dove Daniele è rimasto per tutta la durata della manifestazione, gradito ospite e membro della giuria del concorso documentari, dove gareggiava anche il docu di Mercedes Stalenhof Carmen Meets Borat, in programma al Tekfestival. Last but not least, Diorthosi, il bellissimo film di Thanos Anastopoulos (nella foto sotto durante l'incontro con stampa e pubblico), che vede un moderno Ulisse vagare per le strade di un'Atena contemporanea, lontana anni luce dal mito e dall'immaginario classico della città, ma vicina alle cronache che giungono dalla Grecia negli ultimi mesi. Il film "rientrava" in ben due sezioni, il concorso lungometraggi e la rassegna "Cinema greco. Film dal margine", una delle primissime (forse la prima?) rassegna in Italia ad affrontare con sistematicità e puntualità il panorama del cinema greco contemporaneo.
Cinema invisibile, certo, ma presente in alcune di quelle che Silvestri definisce giustamente "isole". Cinema che a volte riesce a uscire da questo arcipelago di festival piccoli e meno piccoli che, mossi da passione e dedizione, con fatica riescono a portarlo nelle sale, com'è il caso del bellissimo Tulpan di Sergej Dvorcevoj anch'esso in concorso al TFF, dove è passato in anteprima italiana ben prima che la stampa nazionale e la rete si accorgessero della sua esistenza.
Cinema difficile da trovare nelle isole festivaliere italiane, ma che vale la pena di cercare, vedere, amare.

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martedì 5 maggio 2009

NodoDocFest - 3° edizione

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Approda alla sua terza edizione il NodoDocFest, manifestazione interamente dedicata al documentario, che si terrà al cinema Ariston di Trieste dal 6 all'11 maggio. 13 le pellicole in concorso in arrivo da 10 paesi diversi: Italia, Bielorussia, Grecia, Israele, Inghilterra, Slovacchia, Irlanda, Svizzera, Argentina, Belgio.

Dell'area Alpe Adria segnaliamo:
LA FORTERESSE di Fernand Melgar (Svizzera 2008), pluripremiato viaggio dentro un Centro d'accoglienza per richiedenti asilo politico in Svizzera, Pardo d'oro al Festival di Locarno nella sezione Cineasti del presente (giovedì 7, ore 15.00)
L'UOMO CON LA MACCHINA DA PRESA di Dziga Vertov (Unione Sovietica 1929), capolavoro indiscusso del cinema d'avanguardia presentato con accompagnamento musicale dal vivo (sabato 9, ore 22.00)
JOURNALISTS di Aleh Dashkevich (Bielorussia 2008) sulla vita quotidiana dei giornalisti che vivono in quella che è considerata l'ultima dittatura d'Europa (domenica 10, ore 15.00)
RENE' di Helena Trestikova (Rep. Ceca 2008). Ritratto lungo 20 anni di una vita ai margini, il documentario ha vinto il primo premio al Festival del documentario di Lipsia (DOK Leipzig), al Festival dei popoli 2008 e gli European Film Awards, l'Oscar europeo (domenica 10, ore 16.00)
PIZZA IN AUSCHWITZ di Moshe Zimerman (Israele 2008) su un sopravvissuto all'Olocausto che ritorna con i propri figli a ciò che resta dei campi nazisti in Lituania e Polonia . (domenica 10, ore 21.00)

E poi ancora omaggi, retrospettive e l'appuntamento immancabile con la sezione Rock'n'Doc che indagherà quest’anno il rockumentary italiano.

Sito ufficiale della manifestazione: www.nododocfest.org
Myspace: www.myspace.com/nododocfest

lunedì 4 maggio 2009

Tracce di Muro: da Berlino a Shortbus!

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Del primo film che verrà presentato oggi pomeriggio alle 18.30 al cinema Ariston nell'ambito del secondo appuntamento di "Tracce di Muro" abbiamo già parlato. Il secondo film, alle 20.30, sarà HEDWIG - LA DIVA CON QUALCOSA IN PIÙ di e con John Cameron Mitchell, biografia immaginaria di una star mancata. Il film nasce da un gay-musical teatrale di successo dello stesso John Cameron Mitchell e di Stephen Trask. Considerato ormai un cult assoluto del cinema indipendente queer americano, il film ha vinto Premio del pubblico e Miglior regia al Sundance nel 2001 e ha valso al regista/protagonista una nomination ai Golden Globe.
Di madre tedesca e di padre americano, Hansel Robinson trascorre infanzia e prima giovinezza nella Germania dell'Est. Crescendo, nel desiderio di vedere la libertà dell'Occidente, incontra Luther, un soldato americano con cui nasce un amore. Si vogliono sposare, ma per realizzare il matrimonio Hansel, spinto dalla madre, decide di operarsi per cambiare sesso. Ma l'intervento non riesce come dovrebbe e Hansel diventa Hedwig, con un'escrescenza di un 'pollice' tra le gambe per cui non è uomo né donna, né tedesca né americano...



John Cameron Mitchell è nato a El Paso, Texas nel 1963. Dal 1985 al 2001 ha recitato sul piccolo schermo, interpretando molte serie e film tv con discreto successo. Nel 1998 scrive una sceneggiatura per il teatro dal titotlo 'Hedwig And The Angry Inch' ispirato al Simposio di Platone. Dopo il debutto a New Jork lo spettacolo diviene immediatamente un fenomeno, non solo musicale, ma anche di costume, acclamato dal pubblico e osannato dalla critica, è stato rappresentato off-Broadway per oltre tre anni prima di essere ripreso dalla compagnia inglese Rose Tinted Productiones, che attraverso un tour internazionale ha contribuito a diffonderlo in gran parte del mondo. Nel 2001 John Cameron Mitchell tramuta Hedwig in film raccogliendo lo stesso riconoscimento ottenuto dal musical. Nel 2006, Mitchell dirige il il film-scandalo Shortbus - Dove tutto è permesso, lungometraggio senza attori professionisti presentato al Festival di Cannes dello stesso anno.

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